L’ipocrisia collettiva sull’Intelligenza Artificiale in Sanità
Quello che mi preoccupa, ogni giorno di più, è la quantità di ipocrisia che leggo quando si parla di Intelligenza Artificiale.
Tutti la commentano, molti la temono, pochissimi la comprendono davvero.
Eppure, la portata di questa rivoluzione tecnologica è, a mio avviso, superiore a quella dell’elettricità, del personal computer e di internet messi insieme.
Cambierà tutto: il modo in cui interagiamo con la tecnologia, come prendiamo decisioni cliniche, e perfino cosa farà un medico e cosa farà una macchina.
Quasi ogni intervento pubblico sull’IA si muove tra paura e moralismo.
C’è sempre qualcuno, spesso sedicente “esperto” di lungo corso, che invita a “non fidarsi troppo”, a “mettere limiti”.
Si dice che le AI “allucinano”. Vero.
Ma dimentichiamo che gli esseri umani lo fanno molto di più: affermano cose inesatte, confondono dati, traggono conclusioni senza prove.
Solo che, quando lo fa una macchina, ci indigniamo; quando lo facciamo noi, lo chiamiamo esperienza.
Il problema, però, non è tecnico: è psicologico.
È la paura di essere sostituiti che alimenta la retorica del controllo e la difesa della “superiorità umana”.
Nel frattempo, nel mondo reale, usiamo le macchine per controllare che noi umani non sbagliamo.
L’aviazione, la diagnostica per immagini, gli impianti industriali e perfino i software clinici vivono di automatismi progettati per correggere i nostri errori.
Chi oggi si fiderebbe di un bilancio aziendale calcolato a mano o di una terapia prescritta senza il supporto di un gestionale o di un CDSS?
Nessun medico, nessun commercialista, nessun ingegnere. Non per pigrizia, ma per sopravvivenza professionale.
Naturalmente, qualcuno leggerà questo post e dirà che “voglio farci governare dai computer”.
Non è questo il punto.
Il punto è un altro: mentre molti alzano il dito accusatore, la maggioranza, in silenzio, si frega le mani chiedendosi quante cose potrà delegare all’AI… prendendosene poi il merito.
Ed è qui l’ipocrisia vera:
tutti intuiscono che l’AI può semplificare, velocizzare e migliorare il proprio lavoro, ma pochi vogliono ammettere che, in molti casi, lo fa meglio di noi.
È un atteggiamento infantile, ma anche pericoloso.
Perché chi lo riconosce prima, e la usa con intelligenza e senso critico, avrà un vantaggio competitivo enorme.
Nella sanità, questo vantaggio si tradurrà in diagnosi più precoci, percorsi più sicuri e un sistema finalmente capace di imparare dai propri dati.


