Da struttura a flusso: la nuova competizione sanitaria
La sanità continua a competere sul campo sbagliato: più strutture, più posti letto, più specialità, più tecnologia. Eppure i pazienti si sentono spesso persi, le cure restano frammentate e molti sistemi vanno in difficoltà anche nei giorni ordinari.
La verità è semplice e scomoda: i sistemi sanitari non perdono perché manca la qualità clinica, ma perché generano attrito dove dovrebbero creare chiarezza.
Per anni il vantaggio competitivo è stato costruito nel primo miglio, investendo in infrastrutture e capacità. Poi è arrivato il secondo miglio, con l’espansione dei servizi e delle sottospecialità. Ma oggi né la struttura né la quantità fanno davvero la differenza.
Il punto decisivo è l’ultimo miglio.
È lì che il sistema incontra la realtà quotidiana: prenotazioni, accessi, attese, passaggi di consegne. Non durante le emergenze, ma nei giorni normali. Il flusso non è velocità: è accompagnare le persone dall’incertezza alla certezza in modo continuo e senza frizioni.
In Italia lo vediamo bene ogni giorno. Un paziente può accedere a un’eccellente visita specialistica, ma poi per una prenotazione, un referto o un follow-up deve ricominciare da capo, tra CUP diversi, canali non integrati e informazioni frammentate. La qualità clinica c’è, il flusso no.
Esistono però esempi virtuosi. Penso, ad esempio, ad alcune esperienze di presa in carico delle cronicità in regioni come l’Emilia-Romagna, dove il Medico di Medicina Generale, i servizi territoriali e lo specialista condividono percorsi, dati e responsabilità. Non più singoli atti eccellenti, ma un flusso di cura che funziona, giorno dopo giorno, senza far sentire il paziente “in mezzo”.
I sistemi più maturi lo hanno capito: non vincono costruendo di più, ma rendendo le cure più semplici da attraversare. Progettano per il flusso, non per i monumenti.
Il futuro del vantaggio competitivo in sanità non è nei sistemi più grandi, ma in quelli che funzionano bene ogni giorno, in silenzio.
Meno struttura. Più flusso.


